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mostra personale
Agata Treccani
PERDONA IL TUO IO _ TRIBÙ
26.03 | 30.04.2022
a cura di Stefano Monti 
 

Narciso plural
SMDOT/Contemporary Art è lieta di presentare "Forgive Yourself _ Tribe" la prima personale a Udine di Agata Treccani. La mostra è una riflessione scientifica, fisica e figurativa sullo sguardo, sul modo in cui vediamo e sul modo in cui guardiamo noi stessi. Considera la natura della cura come è espressa dai nativi digitali, quelli nati tra il 1997 e il 2012 e spesso indicati come generazione Z. Agata appartiene a questa generazione, o molto vicina a loro: nata nel 1995 è anche abbastanza distante da osservare le loro azioni e comportamenti. Questa non è una mostra generazionale, ma potrebbe essere solo una mostra intergenerazionale grazie alla parola "perdono" contenuta nel titolo, che cerca in qualche modo di darci il nostro orientamento o di farcelo perdere mentre cerchiamo nuovi orizzonti.
Perdonare è una parola, un verbo, un'azione performativa. Implica un movimento, un movimento che è impossibile, ma necessario.
Il titolo inglese contiene l'espressione singolare "perdona te stesso". Non c'è la punteggiatura per aiutarci, possiamo pensare a un'esclamazione, a un incitamento, a una richiesta, a uno slogan pubblicitario o a un riflesso.Un momento di riflessione tutto nostro, davanti a uno specchio, uno schermo, una riflessione senza immagine, immaginando, pensando, un'immagine. L'io, il noi, che chiede di perdonarsi. Una richiesta di perdono che viene fatta all'altro, agli altri, a me, a noi. Una richiesta di perdono, per un evento passato, per aver tradito qualcuno o qualcosa con un pensiero o un atto, causando dolore, dolore. Per dare in cambio per il dolore causato.
Scrivere, in qualche modo, significa chiedere perdono per il tempo, per l'attenzione richiesta al lettore, per un'idea, per una dichiarazione, per un'azione passata. Significa chiedere il dono dell'attenzione all'altro, ma anche a se stessi. Forse la lingua parlata e scritta rende impossibile chiedere di perdonare, cedere e dimenticare il passato, il male, il dolore sofferto. Tuttavia, il tentativo, il movimento nel chiedere, nel provare, crea le condizioni per accogliere questa impossibilità. Il lavoro di Agata supera questa soglia di impossibilità, grazie alla creazione di immagini che si riconoscono, si definiscono, che raccontano una storia, che chiedono perdono, che chiedono perdono e perdono. 
Poco meno di mille anni dopo le Metamorfosi di Ovidio, Leon Battista Alberti scrisse che spesso sosteneva con i suoi amici e parenti che Narciso dovesse essere considerato l'inventore della pittura, non solo perché la pittura è da considerarsi il fiore di tutte le arti, ma perché la sua triste storia è particolarmente adatta ad esprimere la sostanza stessa della pittura: “Che cos' è la pittura se non l'atto di abbracciare con l'arte la superficie di una piscina?“
Ripensare a questo mito, di cui tanto si è scritto, ci permette di sprigionarne alcune potenzialità, non solo per quanto riguarda le origini della pittura, ma anche per quanto riguarda i suoi esiti estremi, quelli che stiamo vivendo oggi sotto forma di ambienti immersivi virtuali. In questi ambienti la trasgressione dei confini tra realtà e rappresentazione è la metafora dell'eccitazione virtuale delle passioni, attraverso le forme della riflettività e della visualità.
Le opere di Agata in mostra operano all'interno di questa riflettività, mostrando i condizionamenti inflitti dai nuovi media. Il giovane Narciso di Ovidio e il contemporaneo Narciso sono entrambi condizionati, narcotizzati e intorpiditi da un'immagine riflessa: il primo dall'acqua di una piscina, il secondo da uno schermo. Entrambi soggiogati dal fascino di un'estensione di se stessi in un materiale diverso da quello di cui sono fatti.Narciso Plurale è la valorizzazione dell'ingenuo Narciso e del consapevole Narciso, che compare alternativamente nelle numerose interpretazioni del mito di Ovidio nei duemila anni trascorsi dalla sua scrittura. È un Narciso nativo digitale, che abita un'epoca in cui i fenomeni legati alla digitalizzazione e alla comunicazione tecnologica si intensificano massicciamente, dove la visione è più importante della profondità e dell'intensità. L'eccessiva produzione di immagini ha generato una saturazione dell'ambiente visivo con la conseguente perdita dell'identificazione del fotogramma e del suo valore simbolico. 
Agata concentra la sua ricerca su questa “scarsità simbolica”, individuando e rappresentando la tribù che si vede riflessa nei gesti, nelle immagini, nelle superfici, nei linguaggi, condivisi e riconosciuti. Lo scuote dal suo stato narcotico, utilizzando tutti gli strumenti contemporanei a disposizione, senza mescolarli, rispettandone le caratteristiche specifiche, ma allo stesso tempo creando spostamenti estetici e concettuali.Video, comunicazione pubblicitaria, moda, installazione, editoria, realtà aumentata e pittura stanno fianco a fianco: ogni oggetto, ogni opera d'arte esposta in galleria conserva la sua identità, ma si riflette e si riconosce nell'altro, invitando lo spettatore a riflettere e partecipare a questo flusso, a questo movimento di immagini e di pensiero. 
Leon Battista Alberti diceva che la pittura abbraccia la piscina, le opere di Agata abbracciano la tribù, scuotendo il corpo dall'intorpidimento, chiedendo intensamente il perdono, un perdono il cui scopo è essere giusti, sapendo che è abbracciare l'impossibile, l'imperdonabile, e per questo meritano gratitudine.Perdonami, grazie.

Stefano Monti 

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