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Harold López si avvicina al paesaggio per la prima volta. Nella serie Pausa, l'essere umano di solito non è esattamente il centro della rappresentazione. Ma è lì, è sempre lì, anche se non lo vedi. L'uomo è colui che vede (guarda, apprezza, gode) quei paesaggi che l'artista ricrea. E non stiamo esattamente parlando dello spettatore, quello che si trova di fronte a un dipinto in una galleria o di fronte a un computer. Stiamo parlando di personaggi all'interno del dipinto, creature che il pittore a volte mostra e altre volte intravede, suggerisce, nasconde...

 

Non c'è nozione di bellezza se non ci sono testimoni. Lo stesso accade con la pace, la calma, la tranquillità di un luogo. Ecco perché Harold intende questi paesaggi come un'estensione dell'essere umano. Non sono solo un palcoscenico: il paesaggio può essere il simbolo dell'emozione. O la sua concretezza: quante volte ci siamo sentiti parte di un ambiente? Come se ci accogliesse, ci integrasse, ci impregnasse.

 

Poche pennellate e pochi colori brillanti sono sufficienti perché Harold López crei reti complesse, ricche di significati. C'è una densità che non ha nulla a che fare con la profusione o l'affollamento. È un artista di essenze, ma anche di intensità. Nei suoi quadri ci sono sempre presenze implicite. Qualcosa che lo è, ma che non si materializza. L'ineffabile. Qualcuno direbbe: poesia.

 

Yuris Nórido, critico d'arte cubano.

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