Finiti gli studi a Milano, Carolina Pasti si sposta a New York per seguire una Collezione Privata. Dopo 12 anni tra New York e Londra torna in Europa con la mostra “Breasts” e si stabilizza a Milano, carica di energie e voglia di esplorare, creare e collaborare.
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Kooness: Raccontaci del tuo lavoro, in cosa consiste? Come sei arrivata a fare quello che fai? Raccontci del tuo lavoro; come sei diventata curatrice?
Carolina Pasti: Io sono una curatrice indipendente e ho sempre lavorato con collezioni private. Prima di arrivare a Milano ho vissuto a Londra. Sono Milanese, ma sono stata via 12 anni. Dopo l'università sono stata sei anni a New York, dove ho lavorato per la collezione privata americana Schulhof, i cui pezzi sono poi andati al Guggenheim di Venezia, 80 opere, e anche in altri musei internazionali, come il Whitney. Dopo sei anni mi sono spostata a Londra, dove ho fatto più un lavoro di Art Advisor e Art Curator sempre per collezioni private e per singoli individui e poi da un po’ di anni avevo sempre l’idea di fare questa mostra sul seno che poi ho sviluppato in quest’ ultimo anno. Questo è avvenuto perché conoscevo questa artista che si chiama Laura Panno che ha quattro opere in mostra, e che è stata una mia ispirazione fondamentale per la mostra “Breasts”. Lei è un’amica di mio padre e nel suo studio avevo visto queste tette trottole in vetro e ho detto, perchè non fare una mostra sul seno? È un’idea che come ho detto a tante testate all’apparenza sembra ovvia, però non è mai stata sviluppata e trattata abbastanza.
K: La tua passione per l’arte da dove viene?
CP: Ho studiato storia dell’arte, la mia passione nasce fin da quando ero piccola. Mio padre era un fotografo, ho lavorato anche tanto con lui, quindi mi sono avvicinata fin da subito al mondo dell’arte. Fin da piccola vedevo come lui vedeva le donne: come muse, e da quei momenti il corpo della donna mi ha sempre affascinato molto; sono sempre stata attratta dal corpo.
K: Cosa vuol dire essere una curatrice per te?
CP: Per me vuol dire legarmi, selezionare. Tutto parte dalla ricerca, come in questa mostra, che si tratta di una ricerca di tanti anni che ho approfondito, vuol dire avere la passione per l’arte e per gli artisti, dove nascono questi dialoghi molto intensi. Come curatrice, il rapporto con l’artista diventa quasi un'ossessione, si crea un rapporto molto intimo, quasi come una famiglia. Anche le opere d’arte sono lavori che ricerco e di cui mi appassiono e piano piano li seleziono. Mi piace lavorare sempre con artisti diversi, mi piace cambiare. Per la mostra “Breasts” ho iniziato a lavorare con artisti ed alcuni sono diventati amici, altri lo erano già, però mi piace cambiare spesso. Io sono specializzata nell’arte dagli anni 50 fino al contemporaneo, ma, per esempio, anche nella mostra a Venezia, ho portato una madonna del 500. Ho fatto anche un altro tipo di ricerca, ed ho riscoperto l’arte antica che mi ha ricordato i tempi in cui studiavo all’università. Ogni persona che incontro e ogni mostra o collezionista ha un gusto diverso, è bello perché è sempre tutto molto vario, e come il lavoro da interior designer uno seleziona in base al gusto di una persona.
K: Quali sono gli elementi e gli steps fondamentali nel tuo lavoro? quali ti piacciono di più e a quali devi sempre stare attenta?
Ogni tanto bisogna conciliarsi con il gusto del collezionista che può essere complicato e anche con quello dell'artista. Ogni tanto allinearsi, anche a livello di gusti, non è sempre semplice. Soprattutto quando si parla di mostre collettive, come “Breasts”, che concilia 31 artisti, è stato impegnativo. Anche a livello di produzione, ieri parlavo con un’artista che è in mostra e le dicevo quanto adesso è difficile fare il curatore, diventa un lavoro a 360º, non è più solo un lavoro di selezione, ma si tratta di una produzione, per cui è difficile anche selezionare un team di persone che siano in grado di aiutarti nelle piccole cose, partendo dai piccoli dettagli. Si parte con la ricerca poi ogni minimo dettaglio è importante, la cura delle piccole cose fa della mostra, secondo me, un successo o meno.
K: Qual è la mostra che hai curato di cui vai più fiera?
Io principalmente in passato ho sempre curato collezioni private di collezionisti, per cui questa è stata la mia prima grande mostra. Ho anche lavorato negli anni con artisti più piccoli, però questa è la mostra che in questo momento mi sta dando molta soddisfazione. Anche a livello di comunicazione, è una mostra il cui messaggio è molto importante, e il fatto che sia legata a tematiche molto importanti per me, di sensibilizzazione sul cancro al seno la rende per me un lavoro che mi sta molto a cuore.
K: Hai detto che ci sono 31 artisti diversi, come sono stati selezionati e come hai scelto il modo in cui esporre ed inserirli in determinate stanza all’interno di Palazzo Franchetti?
K: La mostra parte con questo progetto site- specific, un corridoio con 35 luci che è stato commissionato allo studio Buchanan di Londra. Qui volevo che le persone, i visitatori emergessero, come se si stessero immergendo in un seno, quindi a livello molto intimo. Poi la mostra si articola in 5 stanze sul piano nobile del palazzo. La prima stanza esamina la rappresentazione storica, dove viene esposta una madonna del 500. Per me era molto importante che in ogni stanza ci fosse un dialogo, la madonna, per esempio, in dialogo con Cindy Sherman e anche Anna Weiyan. Parto da opere storiche che fanno riferimento al classicismo nei gesti e nei toni di colore. La seconda stanza invece ricorda una wunderkammer, il seno come ispirazione per le pratiche scultoree. La terza stanza esamina le fotografie, sia di moda, come la foto di Oliviero Toscani che ho voluto ripresentare in mostra per vedere la reazione del pubblico. Volevo capire se veramente ancora oggi sia un tabù o meno far vedere questo tipo di immagini e sto comunque notando che gli spettatori rimangono sempre un po 'scioccati Poi ho scelto fotografie più classiche da Penn a Mapplethorpe. La 4 stanza è più pop, un seno più colorato, frammentato ed astratto. C’è anche un manichino di Allen Jones, volevo creare una stanza un po’ più leggera che rappresentasse l’evoluzione del seno nell’arte. L’ultima stanza mostra un video di Lory Provost, in cui racconta la nascita della figlia, legato al tema della maternità. Ho selezionato gli artisti in base alle stanze, è un ambiente molto intimo, sulle finestre ci sono queste pellicole rosse per distanziarsi dall’esterno, distanziarsi da una Venezia caotica, dai turisti per immergersi in uno spazio più intimo. Sono tanti artisti, ma con opere non troppo grandi, per creare una mostra che non fosse incombente, ma che potesse creare comfort.
K: In che modo i temi principali di sessualità, allattamento, libertà e malattia sono molto importanti per te?
CP: Sono molto importante e voglio continuare a trasmetterli attraverso nuovi progetti. Adesso sto sviluppando un podcast che uscirà a settembre e tratterà proprio le tematiche della mostra. La mia idea è quella di portare questo messaggio in maniera leggera, senza usare immagini crude, ma curare la mostra in modo che avesse una connotazione positiva, che le persone uscissero pensando al seno, a cosa significa oggi esporre il seno, in maniera leggera ma di impatto. Anche il concetto di libertà è molto importante, per cui la valorizzazione del corpo femminile, la donna che crede in se stessa, che non ha bisogno di dimostrare il suo corpo. Questo per me è ancora un tema di dibattito, soprattutto l’allattamento e la maternità, allattare in pubblico. Recentemente, mi è capitato di partecipare a una zoom call con una ragazza che allattava e sono rimasta molto colpita. Spero che presto non ci siano più tabù e preconcezioni di questo genere per la donna.
K: Ci racconti della curatela dell'appartamento a Milano uscito su Livingetc. Com’è nato questo progetto e ti occupo spesso di progetti di questo tipo?
CP: Ho lavorato con un’amica che si chiama Tessa Horwitz. Nel suo appartamento ,ci sono delle opere di Laura Panno, che appunto fa parte della mostra a Venezia. Mi sono divertita molto a lavorare a questo progetto. Adesso sto lavorando con un’altra designer a Londra, Holly Bauden. Ho iniziato da poco in questo campo, ma mi piace molto lavorare con interior designer. È un altro tipo di percorso, è un lavoro di teamwork. Io cerco sempre di fare collaborazioni, anche con la mostra che ho curato non mi dispiacerebbe iniziare a fare collaborazioni con designers interessati o anche con brand di moda. Una cosa interessante che mi hanno chiesto è di portare la mostra in America. Vorrei crearla in uno spazio diverso: in un Museo o uno spazio più industriale. Portare sempre lo stesso messaggio, ma portare diversi artisti, magari legati a video o installazioni. Ci sono così tante sfaccettature e messaggi attraverso “Breasts”. Tra l’altro in questo stesso periodo è uscito il nuovo libro di Sarah Thornton che si chiama “Tits Up”, legato al seno, sembra fatto apposta!
K: Ricollegandoci al tema del design, che ruolo ha l’arte all’interno dell’interior design?
CP: Ha un ruolo fondamentale. Con questa amica di Milano con cui ho lavorato nel suo appartamento abbiamo selezionato insieme i pezzi. Lei aveva già tanti pezzi di design, però con l’arte diventa più completo, come abbiamo detto prima, il gusto si unisce. Diventa un connubio. Sto approfondendo questo aspetto perché mi piacerebbe molto lavorare con interior designers. Vedo che ci sono tante realtà diverse in giro. Tutti questi mondi si stanno collegando, dall’arte, alla moda, al design. Sono linguaggi culturali diversi che hanno la bellezza e l’estetica in comune.
K: Considerando tutti questi mondi che si intrecciano, qual è il tuo pensiero riguardo la direzione del mondo dell’arte di oggi?
CP: Sicuramente l’inizio di molte più collaborazioni. Prima non c'erano. Mentre la fotografia è un linguaggio sempre più indipendente rispetto all’arte e alla pittura, però mi sono sempre piaciuti questi linguaggi e la loro unione.
Installation view, ‘Breasts’, 18 Apr – 24 Nov 2024, ACP Palazzo Franchetti, Venice. Courtesy Carolina Pasti. Photo: Eva Herzog.
K: La tua figura prova anche a fungere da collegamento tra i diversi mondi?
CP: Io cerco di farlo sempre. Per me è stato fondamentale includere tutti questi diversi media, dalla pittura alla scultura alle installazioni. Poi lavorando con uno studio di design di Londra volevo creare armonia, ampliando la mostra attraverso diversi medium.
K: Punti a lasciare un segno con questa mostra?
CP: Sì, lo spero. Spero che questa mostra continui e che sarà sempre un motivo di discussione, anche attraverso i podcast che usciranno nei prossimi mesi. Non deve essere limitata a se stessa, ma spero che continui tramite collaborazioni. Sta avendo un riscontro molto positivo, e di questo ne sono molto contenta. Adesso è importante tenerla viva, affrontando questi temi. Voglio fare anche tante interviste con gli artisti in mostra per approfondire tramite la loro personalità i temi che ho trattato.
K: Conoscevi già tutti gli artisti ed avevi già in mente di inserirli in mostra o alcuni li hai conosciuti durante il percorso?
CP: No, gli artisti non li conoscevo tutti, tanti li ho conosciuti durante la mia ricerca e tanti mi hanno cercata per inserirsi all’interno della mostra, quindi sicuramente attraverso le opere che ci sono adesso sono riusciti a lasciare un segno anche ad altri. Voglio cercare di portarla in giro per il mondo, in America e in Messico!